Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di romantico nel buttarsi sotto i treni.
Mi commuove il pensiero, l’attesa della locomotiva in arrivo, la scelta di farlo spesso da una banchina, attendendo un treno in transito che vada ad una velocità decente.
Meno truce che farlo sotto i vagoni del metrò.
Aria, sole, magari in una giornata di luce.
Scegliere il binario.
Fare il pendolare della vita all’ultima corsa.
L’ho trovato dignitoso: un treno delle Nord carico del mattino.
Pieno soprattutto di studenti e impiegati.
Poca gente di colore. Extracomunitari quasi nessuno.
Questi treni sono più puliti di quelli dello stato.
Ieri mattina è andata così.
Il mio treno è sfilato silenzioso di fianco a quello fermo a Novate.
Sui binari un lenzuolo aperto a volo d’angelo.
Sotto quello che era stato qualcuno.
Allora c’ho fatto caso, a com’è Novate. E vista dal percorso obbligato dei binari, non mi è sembrato nulla di che.
Una volta arrivati in stazione ho sentito che forse era un ragazzo, uno studente, rimasto impigliato nel locomotore con lo zainetto.
E allora ho pensato che la morte ogni tanto ha una certa ironia.
Ti gioca dei brutti scherzi.
E il pensiero romantico dell’ultimo salto sui binari prende la brutta, sconsolante forma della sfiga.
(Oggi sul giornale c’era scritto che era un capotreno. Ha mancato l’appiglio, salendo. Chissà perché gli incidenti sul lavoro mi fanno meno tenerezza).